FINALMENTE E’ APPRODATO IL FISCO PREDITTIVO
Lo scorso weekend mentre ero mollemente “spaparanzato” sul mio divano, afflitto dai vapori di un'afa soffocante che mi ha colto impreparato allo stesso modo e con la stessa violenza del peggiore dei temporali estivi, mi imbatto in un trafiletto del sole 24 ore che pontificava sull’evoluzione della giustizia tributaria predittiva.
Di questo arcano ganglo tributario ho già trattato su queste (web) pagine, ma stavolta le considerazioni argute del competente estensore hanno ulteriormente stimolato la mia fantasia.
Sarà forse per il giroscopico andare del ventilatore, sarà per il tenue refrigerio generato o molto più verosimilmente per l’innata inclinazione a perdermi in voli pindarici della fantasia, all’improvviso e senza accorgermene mi sono trovato proiettato fra suoni ed immagini che hanno fissato nella memoria indelebili immagini dell’infanzia.
Come una mitraglia sentivo il disordinato crepitio di una massa confusa di bambini, alcuni li vedevo correre liberi per i viali ai cui lati come silenti guardiani si ergevano alberi dalle fronde rigogliose e fruscianti, altri trascinavano per mano degli svogliati genitori come fardelli di cui disfarsi al più presto.
Uno sferragliare confuso ed indistinto di giostre e giostrai impenitenti, profumi intensi, di zucchero filato e caramelle, cerco di riprendermi per comprendere dove mi trovassi, ero finito in un luna park, in quella sorta di paese delle meraviglie dove le regole e le abitudini vengono sovvertite, annullate o addirittura ribaltate. Entrare in quel mondo è stato come entrare in un tempo sospeso dove anche lo spazio si distorce seguendo la curva dei pensieri, il luna park è uno spazio sfuggente, inafferrabile, che cambia col passare del tempo seguendo il movimento immutabile e ripetitivo delle giostre.
Delle giostre ho ricordi e sensazioni forti, le montagne russe, i “calcinculo”, la galleria degli orrori; ma ciò che mi è tornato alla mente come un flash accecante e doloroso è stata la sensazione gravida di tensione e paura che provavo per l’Oracolo di Kathmandu.
L’Oracolo era un rubicondo pupazzone di colore azzurro, collocato all’interno di un capannone spoglio, posto ai margini di un luogo, il Luna park, esso stesso ai margini per definizione.
La curiosità lo sappiamo è la madre di ogni conoscenza e nei bambini assurge a regola di vita, per questo ne ero attratto ed ogni volta che capitavo dalle parti dell’Oracolo pur ripromettendomi di evitarlo finivo inevitabilmente per avvicinarlo in preda ad una confusa commistione fra timore ed ansia.
l’Oracolo era un manichino dalle fattezze asiatiche forse un mandarino o qualcosa del genere che si ergeva solenne e minaccioso all’interno di un antro oscuro, sormontato da tremule luci forse per enfatizzarne la sacralità e definitività dell’auspicato vaticinio. Titubante mi avvicinavo, ed ogni volta, ogni maledetta volta mi sorprendevo nel vederlo ancora li, pensavo, “è sempre nella stessa posizione e con lo stesso sguardo”, passavano i giorni, i mesi, le stagioni e gli anni, ma lui noncurante di tutto questo rimaneva sempre lì immobile, con la stessa espressione vuota, nella stessa plastica postura, noncurante della gente che gli passava dinanzi, delle storie e delle vite che scorrevano e si esaurivano, mi spaventavo nel pensare che potesse conoscere gli esisti di tante esistenze e tanti segreti accuratamente celati ma che al vaticinante venivano senza remore o reticenze confessati.
Quello che doveva essere un sorriso compiacente l’ho ogni volta apprezzato come un ghigno rivolto alle fatue speranze che ciascuno riponeva nelle sue vaticinazioni, si, perché impressa in una piccola stele posta all’entrata c’era la promessa che ogni domanda avrebbe ottenuto una risposta! La consunzione irregolare del tratto impresso sulla stele l’ho sempre immaginata come l’esito del lavorio nervoso delle falangi di chi era in attesa della sacra profezia.
Si sa il pericolo o la paura cancellano la curiosità, per questo aggrappandomi allo scampolo di coraggio che ancora mi confortava affondavo il solingo residuo della paghetta settimanale nel pertugio miracoloso che avrebbe dato iato alle sue risposte. Come la monetina accompagnata da un tintinnio metallico, sarebbe sparita alla vista, avrei iniziato con l’immaginare un vorticoso rincorrersi di universi paralleli con l’Oracolo intento a viaggiare nella mia esistenza disponendo di un intero universo di esperienze infinitamente varie; lo immaginavo con le sue dita paffute smistare sapientemente e con sicurezza l’archivio della mia coscienza, i file del mio futuro, sezionando accuratamente situazioni, contesti ed evoluzioni, solo alla fine di questo processo accompagnato da suoni brillanti ed un gioco di luci che riuscivano a creare una moltitudine di sensazioni, profonda angoscia e compiaciuto divertimento, avrei finalmente avuto l’anelata risposta alla mia domanda.
Ero ancora lì nel mio “multiverso” imbambolato nell’attesa dell’agognato esito, quando il trillo disturbante del cellulare mi riporta all’afa, inconsapevole complice di questa mia divagazione ma soprattutto all’ispirante articolo che proponeva il vaticinio tributario.
Mi sono subitamente ricomposto pensando: “da via Cristoforo Colombo ci fanno sapere di aver messo a punto un infallibile algoritmo di machine learning che, basandosi sulle norme, sulla prassi e sul giudicato delle commissioni, saprà, su richiesta dei cittadini indicare se sia il caso o meno di proporre ricorso contro l’ennesima pretesa tributaria”.
Lo scopo è quello di disincentivare i contribuenti alla contestazione fiscale così da scongiurare l’ingolfamento delle commissioni tributarie, che hanno abbandonati o pendenti decine di migliaia di ricorsi ai vari gradi di giudizio, questo per diversi milioni di euro di imposte.
Ai pazienti lettori chiedo ancora pochi secondi perché memore delle riposte dell’Oracolo di Kathmandu concludo affermando, che Il ricorso al giudice tributario non potrà mai essere disincentivato dall’utilizzo di un futuribile Oracolo fiscale, questo per alcuni essenziali motivi:
primo: io decido di adire al giudice anche per provare altre strade ed altre soluzioni, sarà proprio la sensibilità del giudice a poter indicare anche soluzioni nuove ed interpretazioni autentiche, se ci si dovesse basare esclusivamente su ciò che fino ad oggi è avvenuto andremmo a mortificare ogni possibile pulsione di miglioramento ed evoluzione non solo tributaria ma anche culturale.
Secondo: l’esercizio del diritto alla difesa non potrà mai essere compresso od immolato all’altare dell’uniformità tributaria, la libertà si esprime anche e soprattutto nella facoltà di poter sbagliare, fintanto che saremo liberi di sbagliare e pagare per i nostri errori sapremo di esseri donne e uomini liberi e pensanti.
CAF News 24
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