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ANCORA SULLA CRIPTOVALUTE
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ANCORA SULLA CRIPTOVALUTE

La domanda è sempre la stessa, “un utente mi ha portato un prospetto relativo alle criptovalute cosa ci debbo fare? Và in dichiarazione?”

Vorrei poter restituire serenità a quello sguardo perso, donando soluzioni graniticamente certe.

Ma purtroppo in questo ambito, come in molti altri purtroppo, (prendendo a prestito un titolo di quell’autore che più di ogni altro fotografa la crisi dell'identità del soggetto e dell'univocità del reale) dico: le risposte sono: una, nessuna e centomila.

Infatti per poter definire gli obblighi derivanti da una singola pratica occorrerà valutare tre specifiche condizioni e poi metterle sapientemente in rapporto una con l’altra.:

  1. la territorialità delle valute virtuali detenute;
  2. la presenza o meno degli obblighi di monitoraggio;
  3. la rilevanza reddituale delle attività.

Ci stiamo lentamente avvicinando alla soluzione, mi rendo però conto che l’aver sciorinato siffatto elenco non ha dissipato tutti i dubbi, non che ne abbia creati degli altri, ma certamente non sono foriero di soluzioni immediate.

Vediamo allora di affrontare le diverse condizioni, non senza una premessa, i meno distratti ricorderanno che questo argomento lo avevo già recentemente affrontato su queste pagine, perciò il lavoro mira a supportare i più svagati.

Sappiamo che il principio della territorialità è uno dei cardini del sistema tributario nazionale, questo sia ai fini delle imposte dirette ma soprattutto le indirette. Venendo alle criptovalute, in assenza di una specifica norma di riferimento, ed all’obiettiva impossibilità di definire la territorialità di un parametro, perché di questo parliamo (le criptovalute non sono valuta corrente in alcuno stato, ma sono un valore definito sulla base di specifici parametri), immaginiamole perciò come una sorta di indice azionario. Dunque diviene impossibile geolocalizzarle in una specifica area economica. Allora cosa si fa? Semplice, la territorialità della criptovaluta la si aggancia alla territorialità dell’intermediario, dunque le criptovalute saranno territorialmente rilevanti, nella nazione ove ha la territorialità l’intermediario che le colloca ed il conto di deposito che le contiene.

Per gli obblighi di monitoraggio la questione è (solo in parte) più lineare, sappiamo che tali obblighi derivano dall’aver cognizione se le criptovalute detenute siano o meno considerabili attività finanziarie all’estero.

L’Agenzia delle Entrate, sulle criptovalute ha espresso una posizione “tranchant”, le criptovalute devono essere assimilate alle valute estere; conseguentemente, il soggetto detentore delle stesse, fiscalmente residente in Italia, sarà sempre obbligato alla compilazione del quadro RW.

Avevo espresso il mio parere preventivo sulla solo apparente linearità, infatti a complicare la questione c’è che, il monitoraggio sarà sicuramente obbligatorio ma solo nel caso in cui le valute virtuali siano detenute presso un wallet o dispositivo elettronico, detenuto presso un intermediario non residente, dunque si ritorna al principio espresso al punto precedente, il monitoraggio sarà necessario solo se l’intermediario non è residente.

Nel caso in cui scatti l’obbligo al monitoraggio sarà necessario indicare:

  • in colonna 1: il titolo di possesso, codice 1 - proprietà
  • in colonna 2: il codice 1 se il contribuente è un soggetto delegato al prelievo o alla movimentazione del conto corrente oppure il codice 2 se il contribuente risulta il titolare effettivo;
  • in colonna 3: il codice 14 - altre attività estere di natura finanziaria e valute virtuali;
  • in colonna 4: non compilare;
  • in colonna 5: la quota di possesso (in percentuale) delle criptovalute e/o del wallet;
  • in colonna 6: il criterio di determinazione del valore dell’attività, utilizzando alternativamente uno dei seguenti codici:

1 - valore di mercato, rilevato al termine del periodo d’imposta o al termine del periodo di detenzione;

2 - valore nominale, se le attività finanziarie non sono negoziate in mercati regolamentati;

3 - valore di rimborso, in mancanza del valore nominale;

4 - costo d’acquisto, in mancanza del valore nominale e del valore di rimborso;

  • in colonna 7: il controvalore in euro all’inizio del periodo d’imposta o al primo giorno di detenzione dell’attività;
  • in colonna 8: il controvalore in euro alla fine del periodo d’imposta o al termine del periodo di detenzione dell’attività;
  • in colonna 20: barrare la casella per adempiere agli obblighi relativi al monitoraggio, non essendo le criptovalute soggette a IVAFE, in quanto non attività esclusivamente di natura bancaria.

Ci siamo quasi, vi chiedo ancora un briciolo di attenzione, manca infatti la definizione della terza condizione.

Per comprendere quest’ultimo passaggio, riprendiamo alcuni concetti prima espressi, le criptovalute non sono tangibili, rappresentano un indice volubile, dunque quand’è che si concretizza o meglio definisce il loro valore?

Semplice, al momento della cessione, solo in quel momento potremo sapere quanto vale il mio indice, solo in quel momento i valori digitali possono tradursi in valuta corrente.

Secondo la prassi, le cessioni di criptovaluta, in quanto assimilabili a cessioni di valuta estera, rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 67, comma 1, lettera c-ter), TUIR. Per tale ragione, esattamente come accade per le valute estere, le cessioni a pronti di valute virtuali, nonché i relativi prelievi, devono essere considerate imponibili in tutti quei casi in cui la giacenza del portafoglio sia superiore a 51.645,69 euro per almeno sette giorni lavorativi continui.

Per determinare la giacenza si ritiene possibile utilizzare il tasso di cambio al 1° gennaio rinvenuto dal sito su cui è stata acquistata la valuta o, alternativamente, dal sito attraverso il quale sono state concluse la maggior parte delle transazioni.

Nel caso di imponibilità delle transazioni, la plusvalenza (o minusvalenza) deve essere determinata applicando il principio LIFO, considerando quindi cedute per prima le valute acquisite in data più recente e avendo particolare riguardo nell’identificare il tasso di cambio corretto, e successivamente assoggettata all’imposta sostitutiva del 26%, liquidabile nel quadro RT.

Non sono invece considerati fiscalmente rilevanti i trasferimenti di criptovalute tra diversi portafogli detenuti dallo stesso soggetto, dal momento che sono equiparati a trasferimenti di strumenti finanziari tra conti deposito.

C’è ancora molto da chiarire e procedure da ricondurre alle regole del fisco, anche perché essendo una valuta ultramoderna come tale soggiace a criteri di definizione e scambio che sovente sfuggono alla elefantiaca mobilità ed adattabilità delle norme tributarie nazionali, per il momento vi basti la definizione di queste linee generali, rimettendo specifici casi ad un’analisi presso la Direzione Generale.

  

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