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DAL PRIMO MAGGIO VIETATE LE CESSIONI PARZIALI
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DAL PRIMO MAGGIO VIETATE LE CESSIONI PARZIALI

Il comma 1-quater dell’art.121 DL 34/20 farà scattare dal primo maggio un ulteriore vincolo alle cessioni, lo scopo è quello di garantire un efficacie monitoraggio della circolazione di questi ultimi. Specificatamente viene prevista l’apposizione di un codice ad ogni specifico credito ceduto dopo il primo utilizzo e parallelamente a questo onde evitare la dispersione in rivoli, viene prevista l’impossibilità di cessioni parziali successivamente alla prima comunicazione dell'opzione all'Agenzia delle Entrate.  

L’attuazione di questo provvedimento dovrebbe garantire la verifica della “storia” di ciascun credito, con il fine di un immediato controllo dei vari passaggi mentre il divieto di cessione parziale nelle operazioni successive alla prima, dovrebbe garantire di evitare la dispersione del beneficio in rivoli di difficile individuazione.    

Quello che oggi lascia perplessi è il concetto di cessione parziale del credito; perciò, prima di far esplodere una ridda di contestazioni ai danni del sottoscritto, proverò a comprendere il senso che il legislatore ha voluto dare al concetto di “cessione parziale del credito”.

Cominciamo col fissare qualche paletto. Nel momento in cui il legislatore vieta la cessione parziale successiva alla prima, fa riferimento ad esempio ad uno sconto, che avrà per oggetto, il credito che sarà ceduto al fornitore di beni e servizi. E’ evidente che anche lo sconto determina una cessione, come dire che non è l’evento generativo ma ne è l’inevitabile conseguenza, comunque fin qui nulla di nuovo sotto il sole e siamo fermi alla prima cessione, cioè quella in virtù dello sconto.

Ora le cose iniziano a complicarsi, facciamo infatti l’ipotesi che il primo cessionario intenda a sua volta cedere il credito generato dal precedente sconto.

Quando questa cessione potrà essere considerata totale oppure parziale?

Premessa, i crediti ceduti per effetto dello sconto prima ipotizzato, potranno essere utilizzati dal cessionario oppure ceduti con riferimento alle rate residue non fruite dallo stesso, a decorrere dal decimo giorno successivo alla ricezione dalla comunicazione (ossia da quando appare il credito nel cassetto fiscale), e comunque non prima del 1° gennaio dell’anno successivo a quello nel quale i lavori sono stati pagati e fino al 31 dicembre dello stesso anno.

E’ utile ricordare che la quota di credito non utilizzata nell’anno non può essere riportata in avanti o richiesta a rimborso: in parole povere, se non la si usa la si perde (art. 121, comma 3, D.L. n. 34/2020 e art. 5, provvedimento Agenzia delle Entrate del 3 febbraio 2022).

Chiariti i termini posti in premessa ci si pone il problema di come considerare nel termine “cessione parziale” della rata di credito ancora utilizzabile nel momento stesso in cui si procede con la seconda o con la terza e ultima cessione del credito originario contraddistinto dal codice identificativo.

Facciamo un esempio, 30.000 euro di detrazioni per lavori pagati nel 2021. Prima cessione del credito, 30.000,00 in favore del cessionario A (cioè il soggetto fornitore di beni e servizi), il quale ha a disposizione una detrazione di 6.000,00 euro per 5 anni.

Il soggetto A decide di utilizzare in compensazione i primi 6.000,00 euro nel 2021 (REDDITI 2022) , poi nel 2022 utilizza in compensazione 4.000,00 euro e decide di cedere l’intero credito che rimane cioè 20.000,00 al cessionario (B). La comunicazione avviene nel mese di luglio 2022, perciò da luglio 2022 il cessionario (A) rimane senza crediti che nel frattempo sono confluiti nel cessionario (B), adesso nascono i problemi, con riferimento all’anno 2022 (redditi 2023) il fatto di non avere a disposizione la rata teoricamente utilizzabile di 6.000,00 per l’anno 2022, perché utilizzata per 4.000,00 in compensazione nei primi mesi dell’anno, determina nei fatti una cessione parziale?

La risposta non è semplice perché dalla lettura delle disposizioni si può pervenire a soluzioni di segno opposto. Dalla lettura dell’art. 121, comma 3, del decreto Rilancio, sembrerebbe che la possibilità di ulteriori cessioni riguardi solamente le “rate residue di detrazione non fruite”, escludendo, pertanto, totalmente la rata relativa al 2022, per cui nel nostro esempio la totalità delle rate residue non fruite sarebbe di 24.000 euro e non 20.000,00 come invece sarebbe, ma d’altro canto una lettura sistematica si può allo stesso modo  ritenere che la seconda cessione debba invece comprendere tutto l’ammontare del credito non ancora fruito pari a 20.000 euro (ossia la rata ancora fruibile nel 2022, pari a 2.000 euro, più le tre rate successive di 6.000 euro ciascuna fruibile nel 2023, 2024 e 2025).

La soluzione? Non è affatto scontata, sarei portato a ritenere però che l’attribuzione del codice non possa permettere per una medesima annualità l’utilizzo dello stesso codice a due soggetti diversi, nel nostro esempio per l’anno 2022 il cessionario (A) per 4.000,00 ed il cessionario (B) per i residui 2.000 euro, conseguentemente il cessionario (A) dovrebbe cedere il credito in data luglio 2022 con riferimento alle sole annualità residue, nel nostro caso 2023, 2024 e 2025 per un totale di 18.000,00 e l’eventuale perdita di 2.000,00 euro di credito per il 2022 se non riuscisse ad utilizzarlo entro la fine dell’anno.

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