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IL POSTO MIGLIORE DOVE CAPITARE

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NASPI PARTE 3

articolo di Stefano Ceci

Proseguiamo facendoci largo in questa giungla utilizzando il machete della conoscenza. Poco più in la c’è una radura, li  proveremo a riposare, ce lo siamo meritati il viaggio è stato lungo e denso di sorprese.

Il diritto al trattamento NAspI anche per coloro che si fossero macchiati di furto di beni aziendali lascia indubbiamente perplessi, ma tant’é.

Ma le sorprese non finiscono qui!

  

Ci siamo lasciati alle spalle una vegetazione lussureggiante ed ora, giunti nell’agognata radura proviamo a riflettere su alcuni aspetti.

Abbiamo detto che alla base del diritto alla NASpI c’è la mancanza di volontà del lavoratore alla perdita dell’occupazione, è dunque ragionevole che quest’ultimo in funzione dell’aver perso il lavoro possa essere sostenuto da detta indennità. Ora poniamoci una domanda…. Ci sono casi in cui i recessi a volontà del lavoratore comunque permettono di godere della NASpI ?

A rigor di logica ci verrebbe da dire no, invece come i più scaltri potranno aver pensato, la risposta corretta è si!

Sono, altresì, equiparati al licenziamento, ai fini dell’attivazione dell’indennità di disoccupazione, anche i recessi, da parte del datore di lavoro, dovuti:

  1. al superamento del periodo di comporto. Ciò è dovuto a quanto previsto dall’art. 2110 codice civile e dalla disposizione prevista dalla contrattazione collettiva applicata al rapporto di lavoro. In particolare, quest’ultima disposizione va a definire le modalità di calcolo del periodo di comporto e le possibili esclusioni di malattie dal periodo stesso;

  1. alla volontà dell’azienda di concludere il rapporto di apprendistato al termine del periodo formativo. Infatti, l’art. 42, comma 4, del D.Lgs. n. 81/2015 (TU sui rapporti di lavoro), prevede la possibilità per le parti (datore di lavoro e lavoratore) di recedere dal contratto, ai sensi dell'art. 2118 del codice civile, al termine del periodo di apprendistato, senza fornire ulteriori indicazioni sulle specifiche motivazioni del recesso. Se nessuna delle parti recede, il rapporto prosegue come ordinario rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Rimaniamo nell’area in cui la linea di demarcazione fra ciò che è possibile e ciò che non lo è, sfuma decisamente.

Parliamo, ad esempio, della risoluzione consensuale. Con detta risoluzione il lavoratore, ordinariamente, non ha diritto all’indennità di disoccupazione.

Il diritto lo acquisisce soltanto in due specifici casi, per così dire straordinari:

  1. la risoluzione consensuale avvenuta al termine della procedura obbligatoria di conciliazione, prevista per i lavoratori a tutele reale, ai sensi dell’art. 7, della Legge n. 604 del 1966;

  1. la risoluzione consensuale derivata da un accordo dovuto ad un iniziale rifiuto del lavoratore al trasferimento ad altra sede distante più di 50 km dalla propria residenza, o mediamente raggiungibile in 80 minuti o più con i mezzi pubblici. La motivazione, addotta dall’INPS per l’erogazione dell’indennità di disoccupazione (vedasi circolari n. 163/2003 - 108/2006 - 142/2012 - 44/2013), è stata quella di giustificare il rifiuto al trasferimento, in quanto la volontà del lavoratore può essere stata indotta dalle notevoli variazioni delle condizioni di lavoro conseguenti al trasferimento in altra sede della stessa azienda.

Ci sono casi poi, nei quali addirittura le dimissioni volontarie da parte del lavoratore non ne precludono il godimento all’indennità.

Si tratta delle dimissioni presentate:

  • dalla lavoratrice madre nel periodo ricompreso tra i 300 giorni prima della data presunta del parto e fino al compimento del primo anno di vita del figlio/a. Tale tutela non spetta alle lavoratrici domestiche (colf e badanti), in quanto non rientrano nell'ambito di applicazione degli artt. 54 e 55 del TU maternità (D.Lgs. n. 151/2001);

  • dal lavoratore padre, nel caso in cui questi dia le dimissioni durante il primo anno di vita del figlio, sempreché abbia fruito del congedo di paternità obbligatorio, previsto dall’articolo 27-bis, del decreto legislativo n. 151/2001; ovvero nel caso in cui abbia fruito del congedo di paternità alternativo, previsto dall’articolo 28, del D.Lgs. n. 151/2001, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.

A questo punto non ci stupiamo più, la NASpI spetta anche laddove il lavoratore o la lavoratrice si dimettano per giusta causa e cioè per una colpa imputabile al solo datore di lavoro.

Questi le ipotesi che l’INPS (con la circolare n. 163/2003) e la giurisprudenza hanno identificato:

  1. reiterato mancato pagamento della retribuzione (Cass. n. 648/1988);
  2. molestie sessuali sul luogo di lavoro (Trib. Milano, 16 giugno 1999) e pretesa di prestazioni illecite;
  3. modificazioni fortemente peggiorative delle mansioni, tali da pregiudicare la vita professionale del lavoratore (Cass. n. 13485/2014);
  4. mobbing, consistente in condotte vessatorie e reiterate poste in essere da superiori gerarchici o colleghi, le cui caratteristiche risiedono nella protrazione, nel tempo, di una serie di comportamenti e con la volontà di giungere ad una sorta di emarginazione del lavoratore;
  5. notevoli variazioni nelle condizioni di lavoro susseguenti alla cessione dell’azienda o ramo di essa, anche attraverso la forma dell’affitto (art. 2112 c.c.);
  6. spostamento del lavoratore da una unità produttiva all’altra senza che siano sussistenti le “comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive” richieste dall’art. 2103 c.c.;
  7. comportamento ingiurioso del superiore gerarchico nei confronti dell’interessato (Cass. n. 1542/2000; n. 5977/1985);

Siamo giunti alla fine di questo breve ma intenso viaggio, come ho scritto in apertura, non voglio con queste brevi note coltivare l’illusione di aver erogato formazione sull’argomento, in quanto necessiterebbero maggiori informazioni e spazi, ed anche competenze che obiettivamente non ho, quanto piuttosto ho provato a stimolare un sentimento che è assolutamente centrale nel nostro lavoro, la curiosità, che quando ci anima, sono sicuro farà dei luoghi che frequentiamo: il miglior luogo dove poter capitare.

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Stefano Ceci
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Stefano Ceci

Dottore Commercialista iscritto all’ordine di Roma, Iscritto al Registro dei Revisori Contabili dal 1985 titolare di uno studio tributario e di consulenza aziendale. Componente Commissione area Tecnico Fiscale Consulta Nazionale dei CAF. Responsabile dell’Assistenza Fiscale del CAF MCL srl. Responsabile Ufficio Formazione CAF MCL srl. Ha maturato notevole esperienza nella gestione ed organizzazione degli Enti No Profit, componente del Tavolo Tecnico Legislativo in seno al Forum Nazionale del Terzo Settore, relatore alla Commissione Bilancio del Senato per le proposte di modifica Dlgs 117/17 , Componente Ufficio di Segreteria Fondi PNRR UE 2021-27 Forum Nazionale del Terzo Settore, collaborazioni con le commissioni terzo settore dell’Ordine dei Dottori Commercialisti di Roma ed Arezzo _ consulente amministrativo progetti ex/L. 383/00, consulente scientifico Commissione Riforma Terzo Settore – collaborazione con testate giornalistiche : CAF NEWS24 , Edizioni Traguardi Sociali, nel 2022 ha pubblicato: La Riforma del Terzo Settore – manuale pratico per le Associazioni di Promozione Sociale”

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