CONVENIENZA SOTTO LA LENTE D’INGRANDIMENTO
articolo di
CAF News 24
Se il datore di lavoro trattiene dalle competenze dei propri dipendenti o collaboratori somme da destinare alla previdenza complementare queste sono considerate onere deducibile dal reddito del dipendente / collaboratore.
Questo principio pur nella sua semplicità contiene numerosi aspetti che necessitano approfondimenti per suggerire ai nostri assistiti un piano di convenienza fiscale.
Primo elemento di riflessione è la natura stessa dei prelievi, infatti questi “non costituiscono redditi di lavoro dipendente ai sensi dell’art. 10 TUIR ed alle condizioni ivi previste (art. 51, comma 2, lettera h, TUIR).
Il significato del concetto appena espresso è chiaro; un importo pari al versamento effettuato dal datore di lavoro con somme trattenute dalle competenze del lavoratore, determinerà il non assoggettamento ad imposta della stessa somma riferita agli emolumenti del dipendente. Ancor più semplicemente, se il datore di lavoro trattiene dallo stipendio del lavoratore 2.000,00 (duemila/00) euro da destinare alla previdenza complementare, duemila euro non saranno tassati in capo al lavoratore. Quali saranno gli effetti immediati ? Semplice, le ritenute di acconto operate sui duemila euro dallo stipendio del lavoratore saranno riconosciute come credito a favore di quest’ultimo.
Mi scuso con i più smaliziati ed esperti per questa evidenza di tipo basilare, però serve avvicinarci per gradi ai concetti che vorrei approfondire e vorrei che lo facessimo tutti assieme.
Le forme pensionistiche complementari che consentono la deduzione dei contributi ad esse versati sono quelle previste dal D.Lgs. n. 252/2005, che disciplina le forme di previdenza per l'erogazione di trattamenti pensionistici complementari del sistema obbligatorio, ivi compresi quelli gestiti dagli enti di diritto privato, al fine di assicurare più elevati livelli di copertura previdenziale.
Come dire che i fondi di previdenza complementare vengono agevolati dallo stato perché hanno la finalità di integrare le provvidenze previste dalle contribuzioni previdenziali ordinarie.
L'adesione alle forme pensionistiche complementari disciplinate dal D.Lgs. n. 252/2005 è comunque libera e volontaria.
La regola generale dispone che i contributi versati dal lavoratore (perché potrà farlo anche autonomamente e volontariamente) e dal datore di lavoro, sia volontari sia dovuti in base a contratti o accordi collettivi, anche aziendali, alle forme di previdenza complementare, sono deducibili dal reddito complessivo per un importo annuo non superiore a 5.164,57 euro.
Ma è sempre a 5.164,57 il limite? No, sono previste alcune deroghe a determinate condizioni:
- per i lavoratori di prima occupazione alla data del 1° gennaio 2007,
- per gli iscritti ad un fondo per il quale è stato accertato lo squilibrio finanziario
- per i lavoratori che hanno convertito il premio di produttività in contributi di previdenza complementare, nei limiti e alle condizioni previsti dall’art. 1, commi 182 e seguenti, della legge n. 208/2015).
Ai fini del computo di tale limite si tiene conto anche delle quote accantonate dal datore di lavoro ai fondi di previdenza del personale dipendente istituiti ai sensi dell'art. 2117 c.c., costituiti in conti individuali dei singoli dipendenti (art. 105, comma 1, TUIR).
La deducibilità dei contributi riguarda, fermo restando la soglia massima consentita, sia quelli versati dal dipendente sia quelli versati dal datore di lavoro; la deducibilità è comunque ammessa anche nelle ipotesi di versamento da parte di uno solo dei soggetti (lavoratore, collaboratore ovvero datore di lavoro, committente) (circolare 18 dicembre 2007, n. 70/E).
Il che significa che il limite dei 5.164,57 è unico e vale anche nel caso di contribuzioni miste lavoratore / datore di lavoro.
IMPORTANTE : Sono deducibili anche i contributi versati nell'interesse delle persone fiscalmente a carico (art. 12 TUIR), per l'ammontare non dedotto dalle persone stesse, fermo restando il limite complessivo di 5.164,57 euro.
Chiariti i principi vediamo come funziona, questo sarà utile per comprenderne i rischi in fase di elaborazione della dichiarazione dei redditi.
Nel caso di una previdenza complementare per l’importo complessivo annuo di euro 5.164,57 , il datore di lavoro tratterrà dalle competenze del lavoratore, verserà la somma alla forma pensionistica individuata e per lo stesso importo non assoggetterà a tassazione il reddito del lavoratore, questo a prescindere dall’aliquota irpef applicata.
Può capitare che per accordi aziendali una parte del contributo rimanga a carico del datore di lavoro, praticamente non sarà trattenuto dalla busta paga del lavoratore. Da non credere, anche questa cifra (sempre nel famoso limite dei 5.164,57 euro) sarà considerata non soggetta ad irpef, come dire che pur non versando le somme queste saranno detassate come se le avesse pagate.
Capite che si tratta di un vantaggio complessivamente importante, perché come detto, ha finalità importanti, cioè integrare la pensione del lavoratore.
Nel caso in cui i contributi versati siano superiori al limite di legge (sempre i famosi 5.164,57 euro), il contribuente deve comunicare al Fondo Pensione, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è stato effettuato il versamento, ovvero, se antecedente, alla data in cui sorge il diritto alla prestazione, l’importo dei contributi non dedotti, per evitare che in sede di erogazione della prestazione complementare vi sia la tassazione sulla quota della pensione, perché sappiamo che c’è divieto di doppia tassazione, poerciò saranno tassate le pensioni se tutti o parte dei contributi versati avranno permesso di non pagare le imposte, ma se invece, come nel caso di versamenti oltre la soglia massima, si fossero pagate imposte sull’eccedenza, allora, solo in quel caso non si tasserebbe la corrispondente quota di pensione integrativa, esemplificando:
- 7.000,00 di versamenti previdenziali integrativi (7.000,00 = 5.164,57+1.835,43)
- 5.164,57 euro di redditi non tassati ai fini irpef
- 1.835,43 euro di reddito tassato irpef
- Pensione nella quota corrispondente ai 1.835,43 euro non sarà tassata
Chiariti i passaggi analizziamo ulteriori due aspetti e cioè verifica della convenienza fiscale e l’annosa questione dei controlli e delle responsabilità per il CAF.
Per comprendere la convenienza faremo un esempio in cui un lavoratore abbia un reddito di 100.000,00 euro e versamenti a previdenza complementare per 6.000,00
Il datore di lavoro fa versamenti per 6.000,00 euro e per 5.164,57 euro non assoggetta a tassazione il reddito del lavoratore, il che significa che a fronte di un reddito complessivo di 100.000,00 euro il reddito invece soggetto a tassazione sarà pari ad euro 94.835,43. La deduzione del contributo versato genera un risparmio fiscale pari al 43% (aliquota applicabile per i redditi superiori a 75.000 euro) della somma deducibile (5.164,57), pari a un’IRPEF di 2.220,76. Per concludere, il versamento effettuato dal dipendente, che genererà un’integrazione del trattamento pensionistico, è parzialmente “finanziato” dall’Erario, come minore IRPEF, versamento effettuato 5.164,57 – risparmio fiscale 2.220,76 = onere netto 2.943,81. Allo stesso tempo il lavoratore dovrà informare il Fondo che euro 835.43 (differenza fra 6.000 e 5.164,57) dovranno essere non soggetti a tassazione in relazione al trattamento pensionistico erogato.
Dalla lettura di quanto sopra sono evidenti due aspetti:
- La grande opportunità fiscale rappresentata dai versamenti alla previdenza integrativa
- come nel caso in cui non si tenesse conto di quanto riportato nella CU in relazione a versamenti alla previdenza integrativa effettuati dal datore di lavoro, possano essere gravi gli errori dovuti a duplicazione di deduzioni fiscali.
Dato il limite (salvo i casi prima riportati) di 5.164,57 euro, nel caso in cui il datore di lavoro, effettui versamenti per previdenza complementare per 3.500,00 (riportati nella CU), il reddito complessivo sarà conseguentemente abbattuto di 3.500,00 euro. In un caso simile è evidente che l’inserimento di versamenti invece operati dal lavoratore per ulteriori 5.000,00 senza tenere conto di quanto riportato nella CU, determina un indebito minore imponibile per euro 3.335,43, che ipotizzando l’esempio precedente ed un’aliquota marginale irpef del 43%, genera un’evasione d’imposta pari ad euro 1.434,00 per la quale saranno comminate sanzioni per euro 430,00, in un caso come questo, una banale disattenzione costa ben 1.864,00 euro !
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